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Introduzione
Con l’ordinanza n. 4427/2024 della terza sezione civile (di seguito, per comodità, “Ordinanza”), la Corte di cassazione si è pronunciata in tema di prescrizione e decadenza del diritto a richiedere la compensazione pecuniaria ex Reg. CE 261/04 (di seguito, per comodità “Regolamento”). In particolare, è stato affermato che il termine di decadenza biennale di cui all’art. 35 della Convenzione di Montreal del 1999 (di seguito, per comodità, “Convenzione”) non è applicabile qualora la richiesta avanzata dal passeggero riguardi il pagamento della compensazione forfettaria ai sensi del Regolamento.
Le motivazioni alla base di tale arresto fanno leva sulla diversa natura della compensazione pecuniaria prevista dal Regolamento rispetto al risarcimento del danno previsto dalla Convenzione e dunque sull’impossibilità di applicare la disciplina della Convenzione alle domande fondate sul Regolamento.
La pronuncia, sebbene apprezzabile in numerosi passaggi – primo fra tutti quello in cui si ribadisce ancora una volta, semmai ve ne fosse bisogno, la differenza ontologica tra l’istituto della compensazione e il concetto di risarcimento del danno – finisce tuttavia per creare più problemi di quanti non ne risolva poiché, pur censurando l’applicazione del termine biennale di cui all’art. 35 della Convenzione, non chiarisce in alcun modo quale sia la retta via da seguire e, di fatto, non si pronuncia circa la normativa applicabile.
Pertanto, è parso opportuno analizzare l’Ordinanza ed il contesto normativo di riferimento, al fine di provare, per quanto possibile, a fare un po’ di chiarezza in tema di prescrizione e decadenza del diritto a richiedere la compensazione pecuniaria ex Reg. CE 261/04.
1) Il termine decadenziale di due anni di cui alla Convenzione
L’analisi non può che partire dall’art. 35 della Convenzione visto che lo stesso, sino a prima dell’Ordinanza, veniva costantemente considerato, dagli operatori del settore, quale punto di riferimento in tema di prescrizione e decadenza dei diritti nascenti dal trasporto aereo.
In particolare, ai sensi dell’art. 35 della Convenzione, rubricato – appunto – “Decadenza” si legge che:
“L’azione di responsabilità dovrà essere iniziata, a pena di decadenza, entro due anni contati dall’arrivo a destinazione o dal giorno in cui l’aeromobile avrebbe dovuto arrivare, o in cui il trasporto si è interrotto.” |
Proprio in applicazione di tale disposizione, le compagnie aeree tendevano generalmente a non dare seguito alle richieste dei passeggeri, qualora fossero intercorsi più di due anni dalla data del volo in questione.
Giova precisare che tale articolo della Convenzione veniva applicato dalle Compagnie in maniera indistinta, sia quando il passeggero richiedeva il risarcimento del danno ai sensi della Convenzione stessa, sia quando veniva richiesto il pagamento della compensazione ai sensi del Regolamento. La ragione dell’applicazione dell’art. 35 della Convenzione anche ai diritti nascenti dal Regolamento era da ravvisarsi nel fatto che all’interno del Regolamento non è ravvisabile alcuna disposizione che disciplini l’aspetto della prescrizione o della decadenza e che, in assenza di previsioni espresse di natura comunitaria, l’applicazione della normativa statale di cui al codice della navigazione (di seguito, per comodità, “Codice”) finiva per condurre, in via indiretta, proprio all’applicazione del citato art. 35 della Convenzione.
In particolare, infatti, si deve evidenziare come l’art. 949-ter del Codice affermi che “I diritti derivanti dal contratto di trasporto di persone e di bagagli sono assoggettati alle norme sulla decadenza previste dalla normativa internazionale di cui all’articolo 941. Gli stessi diritti non sono assoggettati alle norme che regolano la prescrizione.” Tale previsione, dunque, oltre a chiarire che in tema di trasporto aereo di persone e bagagli, i relativi diritti sono soggetti a decadenza e non a prescrizione, rimanda espressamente all’art. 941 il quale, a sua volta, opera un ulteriore rimando alla normativa comunitaria ed internazionale, affermando che “Il trasporto aereo di persone e di bagagli, compresa la responsabilità del vettore per lesioni personali del passeggero, è regolato dalle norme comunitarie ed internazionali in vigore nella Repubblica”.
Ebbene, tenuto conto di quanto affermato dalle norme in commento, gli operatori del settore erano giunti a ritenere che, in assenza di previsioni espresse ai sensi del Regolamento, i diritti da questo nascenti, essendo in ogni caso inerenti alla materia del trasporto aereo di persone, potevano essere regolate “dalle norme comunitarie ed internazionali” in virtù del rimando espresso di cui all’art. 941 del Codice. Sicchè, considerata la particolarità della materia, il rinvio alle norme comunitarie ed internazionali veniva costantemente – e quasi inevitabilmente – inteso come un rinvio alla Convenzione di Montreal del 1999 e, di conseguenza, al citato art. 35.
Si giungeva così ad applicare il termine decadenziale della Convenzione non tanto in via diretta, quanto piuttosto in via indiretta e cioè applicando il Codice, che poi, a sua volta, operava un rimando alle normative comunitarie ed internazionali (e dunque alla Convenzione).
Tuttavia, come detto, l’Ordinanza ha chiaramente disatteso tale interpretazione, facendo leva sulla diversa natura dell’indennizzo forfettario di cui al Regolamento rispetto al risarcimento del danno tutelato ai sensi della Convenzione.
Pertanto, per meglio comprendere il ragionamento operato dalla Suprema Corte, si rende necessario un brevissimo excursus in tema di compensazione e risarcimento del danno, al fine di porre in evidenza la differenze principali tra i due istituti. .
2) Della differenze tra compensazione e risarcimento del danno
La compensazione ai sensi del Regolamento ed il risarcimento del danno ai sensi della Convenzione presentano differenze sostanziali che meritano un’analisi a parte e saranno oggetto di un apposito contributo, tuttavia, per quanto interessa in questa sede, giova effettuare alcune considerazioni.
L’art. 29 della Convenzione specifica che l’azione esperita ai sensi della stessa deve avere carattere risarcitorio. Senza volersi addentrare e dilungare in questa sede in una disquisizione sul tema del carattere risarcitorio dell’azione, deve brevemente ricordarsi che laddove si stia parlando di azione risarcitoria, si sta, tra l’altro, fornendo rilievo giuridico al concetto di c.d. danno-conseguenza: avuto riferimento al settore del trasporto aereo, ciò sta a significare che mentre l’inadempimento del vettore costituisce l’evento su cui si fonda la responsabilità, il danno risarcibile è invece costituito dalle conseguenze (immediate e dirette) di tale inadempimento, ponendo bene attenzione al fatto che il danno non si identifica con l’inadempimento, ma discende da esso.
Diversa è la natura della compensazione ex Reg. CE 261/04, con la quale si mira ad apprestare una tutela al danno-evento, in deroga ai principi generali del nostro ordinamento che limitano il risarcimento del danno alle sole ipotesi di danno-conseguenza.
Ciò che va tenuto a mente è che ai sensi del Regolamento, il mero verificarsi dell’evento tipizzato dal Legislatore Europeo costituisce esso stesso il danno (rectius: il disagio) cui si vuole prestare tutela a mezzo della compensazione, senza che il passeggero sia gravato dall’onere di provare che da tale evento siano discesi ulteriori danni in via immediata e diretta: in altre parole, ai sensi del Regolamento, una volta acclarato il verificarsi dell’evento tipico (cancellazione del volo, negato imbarco, ritardo superiore alle 3 ore) al passeggero spetterà ipso facto la compensazione, predeterminata per legge in base al chilometraggio del volo.
Diversamente, qualora la richiesta sia basata sulla Convenzione, il passeggero, oltre al verificarsi dell’evento (es. cancellazione), dovrà dimostrare che da tale inadempimento sia effettivamente dipeso un danno concreto (es. aver sostenuto delle spese non previste), da provare anche nel quantum, entro i limiti di cui alla Convenzione stessa.
Dunque quando si disquisisce in merito ad accadimenti che trovino copertura normativa ai sensi del Regolamento o ai sensi della Convenzione, bisogna prestare particolare attenzione poiché non si tratterà di fattispecie simili passibili di risoluzione tramite applicazione di un’unica disciplina in via analogica, quanto piuttosto di posizioni differenti che comporteranno la proposizione di domande differenti, aventi petita differenti e fondate su causae petendi differenti (nel caso del Regolamento, indennizzo forfettario per perdita di tempo, nel caso della Convenzione, risarcimento individuale del danno da ritardo).
La differenza non è di poco conto proprio perché, in virtù della specialità e della particolarità della disciplina di cui al Regolamento, questa non potrà essere oggetto di applicazione analogica e potrà essere applicata solamente ai casi tassativamente previsti dall’art. 3 del Regolamento stesso, rubricato – per l’appunto – “Ambito di applicazione” (sul punto vedasi la sentenza della Cassazione del 9 aprile 2021 n. 9474 nella quale si è chiarito che “[…] la disciplina comunitaria dettata dagli artt. 5 e 7 Reg. CE n. 261/04 dell’11 febbraio 2004 per il caso di cancellazione del volo (ritenuta applicabile dalla giurisprudenza Europea anche al caso di ritardo superiore a tre ore) […]non è applicabile al di fuori dei casi contemplati.”).
Ebbene, riassunte come sopra le principali differenze ontologiche tra compensazione e risarcimento del danno, tornando all’esame dell’Ordinanza, deve evidenziarsi come, proprio sulla base di tale eterogeneità, la Cassazione ha concluso per l’impossibilità di applicare l’art. 35 della Convenzione ai diritti nascenti dal Regolamento.
3) Analisi dell’Ordinanza e Riflessioni
Chiarita la sostanziale differenza tra la natura indennitaria della compensazione forfettaria di cui al Regolamento e tra la natura risarcitoria delle pretese azionabili ai sensi della Convenzione, ci si trova adesso in possesso delle cognizioni necessarie per meglio comprendere quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza.
Guardando ai fatti da cui l’Ordinanza ha avuto origine, giova evidenziare brevemente che tutto nasce da una controversia che vedeva contrapposte la compagnia aerea Neos S.p.a e la società di recupero del credito AirHelp LTD, laddove quest’ultima aveva agito per ottenere il pagamento della compensazione pecuniaria ai sensi del Regolamento, mentre Neos si era difesa, ex multis, eccependo la prescrizione o comunque la decadenza di detto diritto. Ebbene, se in primo grado il Giudice di pace adito accoglieva l’eccezione di decadenza, ritenendo applicabile il termine decadenziale biennale previsto dall’art. 35 della Convenzione di Montreal, perché richiamato dagli artt. 941 e 949-ter cod. nav., il giudizio di appello aveva riformato detta pronuncia e condannato Neos. Quest’ultima, dunque, ricorreva in Cassazione, laddove, tra i tanti motivi di ricorso, denunciava ‹‹Error in iudicando: in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 941 e 949-ter cod. nav., dell’art. 35 della Convenzione di Montreal, degli artt. 5, 6 e 7 del Regolamento (CE) 261/2004 e della sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. III, 22 novembre 2012 resa in C – 139/11. In particolare, Neos censurava la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva escluso l’applicabilità del termine decadenziale di cui all’art. 35 della Convenzione di Montreal alle azioni volte ad ottenere la compensazione di cui al Reg. CE 261/2004, per essere i due plessi normativi autonomi tra loro; ed evidenziava, richiamando la sentenza della Corte di Giustizia UE del 22 novembre 2012, resa in C-139/11, che poiché, nel silenzio del diritto comunitario, spetta agli Stati membri disciplinare gli istituti della prescrizione e della decadenza delle azioni previste a garanzia dei diritti, dovevano necessariamente venire in rilievo gli artt. 941 e 949ter del Codice.
Ebbene, la Corte di Cassazione, richiamando la diversa natura della compensazione e del risarcimento del danno, evidenziava che il diritto alla compensazione pecuniaria “assolve ad una funzione esclusivamente indennitaria, in ciò distinguendosi dalle ipotesi contemplate dagli artt. 19 e 29 della Convenzione di Montreal”. In particolare, gli Ermellini hanno ribadito, anche facendo riferimento alla giurisprudenza euro-unitaria, che “la compensazione pecuniaria equivale ad un indennizzo eventuale, forfettario e standardizzato a carico del vettore ed a prescindere dall’esistenza di ulteriori danni per il passeggero e, dovendo coprire i pregiudizi comuni a tutti gli utenti del servizio di trasporto aereo, va tenuta distinta dal risarcimento di un danno individuale”.
Sulla base di tale diversa natura, di cui si è detto anche supra nel paragrafo 2, la Cassazione ha ribadito una sostanziale difformità di obiettivi del Regolamento e le disposizioni della Convenzione, dato che queste ultime “mirano alla determinazione di un risarcimento per i danni subiti dal singolo trasportato”.
Sicchè – prosegue la Corte – “le diversità sopra delineate si ripercuotono inevitabilmente anche sulla disciplina applicabile, poiché, quando si agisce per il solo diritto alla compensazione pecuniaria non possono essere automaticamente richiamate le norme della convenzione di Montreal”. Dopo di che, il giudice delle leggi, facendo riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia, del 22 novembre 2012, n. 139/11, nella quale si era chiarito che i termini di prescrizione e decadenza del diritto a richiedere la compensazione ai sensi del Regolamento “in mancanza di disposizioni in materia nel medesimo regolamento, è stabilito conformemente alle regole di ciascuno Stato membro” ribadisce che il termine biennale fissato dall’art. 29 della convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 e dall’art. 35 della Convenzione non è applicabile alle richieste fondate sul Regolamento poiché “poiché la misura di compensazione pecuniaria prevista dagli artt. 5 e 7 del Regolamento n. 261/2004 esula dal campo di applicazione di tali Convenzioni”.
Ebbene così ricostruite e sintetizzate le motivazioni poste alla base dell’Ordinanza, a parere di chi scrive deve evidenziarsi come il ragionamento seguito dalla Suprema Corte, sebbene sia pienamente condivisibile laddove ribadisce la differente natura tra compensazione e risarcimento del danno, risulta non del tutto convincente, o comunque lacunoso e quanto meno rivedibile, laddove, da un lato, censura l’applicabilità della Convenzione per via indiretta per effetto dei richiami operati dal Codice, però dall’altro non fornisce alcuna chiara indicazione, né tantomeno alcuno spunto, per quanto riguarda la normativa effettivamente applicabile.
Infatti, stando al ragionamento della Corte, pare potersi desumere che alla richiesta di pagamento della compensazione pecuniaria non potrà applicarsi il termine di decadenza biennale di cui all’art. 35 della Convenzione né per via diretta, poiché gli obiettivi della Convenzione e gli obiettivi del Regolamento sono diversi, ma non potrà giungersi all’applicazione di tale termine di decadenza biennale nemmeno in via indiretta applicando il Codice e dunque il richiamo operato dagli art. 941 e 949-ter.
Orbene, se le argomentazioni a sostegno dell’inapplicabilità diretta della Convenzione risultano fondate e sostenibili, ben diverso è il discorso laddove si giunga all’applicazione dell’art. 35 della Convenzione per via indiretta, e cioè per effetto dei richiami operati dal Codice. Infatti, proprio richiamando la stessa giurisprudenza euro-unitaria citata dalla Cassazione, e vale a dire la pronuncia della Corte di Giustizia, del 22 novembre 2012, n. 139/11, deve evidenziarsi che poiché all’interno del Regolamento nulla si dice in tema di prescrizione e decadenza, per colmare tale lacuna dovrà necessariamente farsi riferimento alla normativa nazionale (come affermato dalla CGUE: “in mancanza di disposizioni in materia nel medesimo regolamento, è stabilito conformemente alle regole di ciascuno Stato membro”). Pertanto, poiché deve inevitabilmente farsi riferimento alla normativa italiana, considerata la specialità della materia del trasporto, in primis, e del trasporto aereo, in secundis, non potrà che guardarsi proprio al Codice e dunque ai già citati articoli 949-ter e 941.
Il ragionamento della Suprema Corte causa un evidente corto circuito laddove, in primo momento, afferma che non può applicarsi automaticamente la Convenzione e che dovrà guardarsi al diritto interno (cfr. pagina 8 dell’Ordinanza “Dai principi elaborati dalla giurisprudenza europea discende, dunque, che è rimessa al singolo Stato membro la disciplina del temine di decadenza, che non coincide tuttavia con quello biennale previsto dall’art. 35 della convenzione di Montreal”), tuttavia, nel paragrafo immediatamente seguente, nega che l’applicazione della diritto interno sia la soluzione corretta, senza al contempo indicare la retta via (cfr. sempre a pagina 8: “Deve, pertanto, escludersi che, a seguito della riforma del 2006, che ha introdotto l’art. 949-ter cod. nav., che rimanda all’art. 941 cod. nav., il riferimento contenuto in queste disposizioni alle ‹‹norme comunitarie›› ed alla ‹‹normativa internazionale›› possa condurre a ritenere che, in tema di decadenza, debba trovare automatica applicazione la Convenzione di Montreal, proprio perché il rinvio
operato dal legislatore interno è un rinvio ‹‹mobile›› e non fisso ad una determinata disciplina”).
Secondo la Corte, dunque, il rinvio espresso operato dal Codice alle “norme comunitarie” ed alla “normativa internazionale” non sarebbe riferibile alla Convenzione poiché tale rinvio è “mobile” e non “fisso” e dunque non sarebbe specifico alla Convenzione, quanto piuttosto generico ad un insieme di norme non meglio specificate. Ebbene, tali conclusioni non risultano condivisibili.
Infatti, la circostanza per cui il richiamo degli art. 941 e 949-ter del Codice debba considerarsi come un rimando “mobile” e non “fisso”, non implica che l’art. 35 non possa essere applicato, tutt’altro; a ben vedere, invero, il fatto che tale rinvio sia “mobile” e non “fisso” sta semplicemente ad indicare che, ai sensi del Codice, l’interprete, in ogni dato momento, dovrà guardare alla normativa comunitaria ed internazionale vigente ratione temporis per individuare il termine di decadenza o di prescrizione. Ebbene, ad oggi, in ambito comunitario tale aspetto non è disciplinato, mentre in ambito internazionale, la questione è specificatamente disciplinata dall’art. 35 della Convenzione, sicchè risulta quasi inevitabile giungere, per effetto del rinvio di cui agli arti. 941 e 949-ter del Codice, proprio all’applicazione di detta normativa. Si badi bene, non trattasi di applicazione diretta della Convenzione a fattispecie disciplinate dal Regolamento, quanto piuttosto di applicazione del Codice e poi, per effetto del rimando ivi contenuto, dei principi contenuti nella Convenzione. In altre parole, laddove si consideri applicabile il termine di decadenza biennale alla richiesta di pagamento della compensazione, non si sta applicando indebitamente la Convenzione, ma si sta applicando il Codice il quale, invece che contenere al suo interno una norma che indichi chiaramente quale sia il termine per l’esercizio dell’azione, per questioni di comodità rimanda alla disciplina comunitaria e internazionale. Ciò detto, il fatto che poi il rimando sia “mobile”, come correttamente posto in evidenza dalla Cassazione, sta semplicemente ad indicare che, qualora in futuro dovessero entrare in vigore nuove fonti normative comunitarie o internazionali in tema di prescrizione e decadenza, tali fonti potrebbero essere utilizzate in quanto ricadenti nel rimando mobile – appunto – che gli articoli 941 e 949-ter operano, genericamente, alle fonti comunitarie ed internazionali. Tuttavia, ad oggi, considerato che a livello comunitario ed internazionale, in ambito di trasporto aereo, la disciplina della prescrizione e della decadenza si ravvisa unicamente nella Convenzione (o nella convenzione di Varsavia del 1929 per i Paesi non firmatari della Convenzione di Montreal del 1999), è evidente come il rimando operato dal Codice dovrà necessariamente condurre all’applicazione indiretta proprio del termine di decadenza biennale di cui all’art. 35 della Convenzione e ciò fintanto che gli articoli 941 e 949-ter saranno validi ed efficaci nel loro testo corrente.
Laddove non si volesse sposare tale interpretazione, e si volesse aderire a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, ritenendo dunque non applicabile in alcun modo l’art. 35 della Convenzione, rimane da chiedersi quale debba essere il termine per l’esercizio dell’azione volta al pagamento della compensazione, posto che tale aspetto non è chiarito nell’Ordinanza.
Ebbene, a tal proposito, tenendo a mente quanto affermato tanto dalla Cassazione quanto dalla CGUE nella citata pronuncia del 22 novembre 2012, n. 139/11, dovendosi dunque guardare al diritto nazionale, senza tuttavia poter applicare il Codice, non rimarrebbe altra via che guardare all’art. 2951 del codice civile, dettato in tema di trasporto, e considerare il termine di 12 mesi, in caso di trasporto nazionale, o di 18 mesi in caso di trasporto internazionale.
Tale soluzione sarebbe anche condivisibile visto che comunque tale disposizione è comunque dettata in tema di trasporto, se non fosse per due ordini di ragioni: in primo luogo, il Codice è normativa speciale rispetto al codice civile e per quanto le disposizioni di quest’ultimo possano disciplinare la materia del trasporto, le stesse risultano comunque generali a confronto della normativa del Codice che, oltre ad essere successiva, è altresì dettata nello specifico per il trasporto aereo; in secondo luogo, l’applicabilità dell’art. 2951 del codice civile era già stata sollevata da Neos nel ricorso che ha portato all’Ordinanza, senza che tuttavia né la Corte di Appello né la Cassazione chiarissero il perché tale articolo non debba ritenersi applicabile (a ben vedere, la Corte di Appello non si è pronunciata, mentre la Cassazione ha affermato che la Corte di Appello non è incorsa in omessa pronuncia sul punto, avendo superato la questione in maniera implicita…di fatto, dunque, non vi è stata una chiara analisi del punto, né si è avuta una risposta al riguardo).
4) Conclusione
Se in tema di risarcimento del danno, il termine per l’esercizio dell’azione è specificatamente indicato dall’art. 35 della Convenzione, lo stesso non si può dire in tema di compensazione pecuniaria ex Reg. CE 261/04, poiché all’interno di tale fonte normativa gli aspetti relativi alla prescrizione e alla decadenza non sono disciplinati.
Stando alla giurisprudenza euro-unitaria, ogni Stato membro dovrebbe disciplinare autonomamente i termini per l’esercizio di detta azione, sicchè il riempimento della lacuna viene demandata al diritto nazionale.
L’Ordinanza in commento ribadisce tale punto, e ciò sembrerebbe dover concludere per l’applicabilità, in primo luogo, della lex specialis costituita dal codice della navigazione, se non fosse che poi la stessa Corte sembra suggerire l’inapplicabilità di tale normativa, senza tuttavia chiarire il punto o indicare la strada corretta.
In un tale scenario, ferma comunque la necessità di dover guardare alla normativa nazionale, le strade obbligate sembrano due: o si applica il combinato disposto degli articoli 941 e 949-ter del codice della navigazione, giungendo inevitabilmente all’applicazione indiretta dei principi di cui all’art. 35 della Convenzione, oppure non rimane altra strada se non applicare l’art. 2951 c.c., che disciplina l’istituto della prescrizione in tema di trasporto.
Qualunque sia la strada scelta, le incertezze permangono sicchè sarebbe decisamente auspicabile un intervento legislativo in materia e ciò in attesa che la Cassazione si possa pronunciare nuovamente sul punto, magari in maniera meno ambigua.
Avv. Vincenzo Lagonigro