L’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019 e s.m.i, di seguito solo “CCII”) lo scorso 15 luglio, costituisce l’atto finale di un faticoso iter normativo iniziato nel 2017 con la Legge delega n. 155/2017.
Il nobile intento del Legislatore della riforma è quello di prevenire gli effetti patologici e dannosi delle procedure liquidatorie, altamente impattanti tanto sulla realtà aziendale posta in liquidazione, ma altrettanto sugli equilibri macroeconomici del mercato, privilegiando soluzioni che garantiscano la continuità aziendale.
In questo senso, si sono susseguiti i tre provvedimenti (i) D.Lgs. 14/2019, (ii) D.Lgs. “correttivo” 147/2020 e (iii) D. Lgs. 83/2022, con cui è stata data attuazione alla Direttiva europea 2019/1023 (cd. Direttiva Insolvency), attraverso i quali ha preso forma l’attuale CCII.
Nell’ottica di un’applicazione unitaria della disciplina in parola, le direttrici seguite dal nuovo CCIII sono state:
- Profilo soggettivo, il CCII trova applicazione nei confronti della quasi “universalità” dei soggetti debitori, siano essi imprenditori, professionisti, artigiani o consumatori, con la sola esclusione degli enti pubblici (art. 1 CCII);
- Profilo soggettivo introduzione di una disciplina specifica per le crisi dei gruppi di imprese;
- Profilo oggettivo, ridefinizione della nozione di crisi (art. 2 CCII)
- Profilo processuale, tendenziale unicità del modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi o insolvenza (art. 7, 37 CCII)
Al fine di facilitare la disamina, sia concessa un’analisi prevalentemente pratica dei principali istituti introdotti dalla riforma, con lo scopo precipuo di individuare l’impatto che l’entrata in vigore del CCII potrebbe avere – e avrà – sull’organizzazione dell’impresa, con particolare riferimento agli assetti organizzativi e agli obblighi dell’organo di controllo.
Ciò posto, il punto di partenza sarà il focus del sistema di risoluzione della crisi di impresa, costituito dalla centralità dell’approccio preventivo-conservativo che il CCII ha tradotto, tra le varie, nei seguenti elementi di novità:
- nuova nozione di “crisi” di impresa (art. 2, lett. a) CCII);
- la richiesta di adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa (art. 3 CCII);
- l’elenco dei principali indici sintomatici della crisi (comma 4, art. 3 CCII).
- Tra stato di crisi e stato di insolvenza
La chiave di volta per la comprensione dell’intera riforma risiede nella novellata nozione di “crisi” di cui all’art. 2, lett. a) CCII, la quale si identifica con la situazione di squilibrio economico-finanziario nell’area caratteristica del business dell’imprenditore.
In particolare, indagando sul significato contabile di tale squilibrio, esso si verifica quando i flussi di cassa generati dal core business dell’impresa non consentono di coprire, in via predittiva, l’indebitamento relativo alle obbligazioni con scadenza pianificata entro i 12 mesi dal momento della rilevazione del dato. In altri termini si tratta di un indice prognostico di rischio.
Di contro, un’impresa potrà ritenersi fuori dall’area di rischio quando la gestione caratteristica/operativa è in grado di generare, da sola, sufficienti flussi di cassa, idonei a soddisfare il fabbisogno di liquidità per far fronte all’indebitamento del breve/medio periodo, indicato dal CCII nel termine dei successivi 12 mesi.
Dunque, l’equazione che possiamo ricavare dalla nozione di “crisi” delineata dal Legislatore del CCII è quella dell’equivalenza tra equilibrio economico-finanziario e solvibilità.
Tuttavia, tale considerazione merita una doverosa precisazione. Infatti, ciò che suggerisce implicitamente il Legislatore, è un’importante distinzione tra solvibilità operativa e solvibilità generale, quest’ultima intesa come la generale capacità del business di generare flussi di cassa sufficienti per far fronte al grado di indebitamento del soggetto.
Dunque, paradossalmente, il debitore potrebbe essere solvibile in via generale pur versando in uno stato di crisi, situazione che si realizza quando la solvibilità del debitore deriva da flussi di cassa originati da una gestione diversa da quella caratteristica, come, ad esempio, nel caso di gestione finanziaria relativa a operazioni di smobilizzo/disinvestimento.
Per completezza, sullo stato di insolvenza, il Legislatore del CCII, non opera alcuna distinzione in relazione alla natura dello squilibrio finanziario alla base della sofferenza dell’impresa, qualificando l’insolvenza, al pari della Legge Fallimentare, come lo stato del debitore caratterizzato da inadempimenti e altri fatti esteriori sintomatici dell’incapacità del debitore a far fronte alle proprie obbligazioni.
Nel silenzio della norma, il testimone passa agli interpreti che si esprimeranno sul significato contabile dell’insolvenza, ossia se essa debba essere interpretata alla luce della gestione caratteristica, come per la crisi, ovvero se continuerà ad avere lo stesso significato ereditato dalla Legge Fallimentare.
- Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa
Con l’art. 3 CCII si ribadisce l’obbligo per l’imprenditore di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e, conseguentemente, assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.
In particolare, se per un verso, si osserva che la previsione incarna l’intento del Legislatore di rendere centrale nella gestione dell’impresa un approccio preventivo, in luogo di quello meramente consuntivo, per converso, si ricorda che l’obbligo dell’imprenditore di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato aveva già trovato cittadinanza nell’ordinamento societario con l’introduzione del novellato art. 2086 c.c.
Infatti, dal 16 marzo 2019 è fatto obbligo a tutte le imprese di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi, nonché́ di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità̀ aziendale.
Dunque, occorrerà chiedersi se l’entrata in vigore dell’art. 3 CCII abbia prodotto qualche variazione in tema di obblighi dell’impresa rispetto a quanto già previsto dall’art. 2086 c.c.
La risposta è senza dubbio affermativa. Dalla portata letterale del secondo comma dell’art. 3 CCII, emerge che, ai fini del tempestivo rilevamento dei segnali di crisi, è necessario che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia idoneo a consentire di:
- rilevare eventuali squilibri patrimoniali o economico-finanziari;
- verificare la sostenibilità̀ dei debiti e le prospettive di continuità̀ aziendale almeno per i dodici mesi successivi;
- ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata;
- effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità̀ del risanamento.
Pertanto, appare evidente che l’adeguatezza delle misure e degli assetti richieda un quid pluris rispetto a quanto previsto dal 2086 c.c. Dunque, agli imprenditori è richiesto un upgrade delle modalità di gestione dell’impresa, in particolare, nel sistema informativo aziendale.
Infatti, si prenda ad esempio la verifica della sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale relative ai 12 mesi successivi di cui al punto (b). Si rileva che per garantire l’idoneità del sistema al tempestivo rilevamento dei segnali occorre che il sistema sia in grado di fornire un’analisi predittiva della solvibilità gestionale (cfr. sopra) a 12 mesi ed in ogni momento dell’anno.
Ad esempio, nel mese di luglio l’impresa dovrà essere in grado di elaborare proiezioni relative all’andamento dei flussi di cassa derivanti dal business core per i successivi 12 mesi.
In tale contesto, potrebbe essere opportuno prevedere un budget di esercizio (in grado di fornire informazioni fino alla fine dell’anno), da affiancare a dati prospettici relativi al periodo successivo a quello del budget, via via aggiornati.
In considerazione di quanto precede, dovremo ritenere che l’adeguatezza dell’assetto organizzativo è sinonimo di capacità dell’impresa di produrre e fornire informazioni prospettiche aggiornate.
- elenco dei segnali di crisi dell’impresa (comma 4, art. 3 CCII)
Costituiscono segnali di crisi ai sensi del quarto comma dell’art. 3 CCII:
- l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
- l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
- l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più̀ di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché́ rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;
- l’esistenza di una o più̀ delle esposizioni debitorie previste dall’art. 25-novies, comma 1.
In conclusione
Se le palesate intenzioni del Legislatore sono risultate chiare ab origine, il passaggio da potenza ad atto risulta senza dubbio non privo di ostacoli.
La ratio della riforma, orientata verso un approccio preventivo di screening dei segnali di crisi con l’obiettivo di rilevare la patologia allo stadio embrionale, si affianca al tentativo del Legislatore di trasformare una fase fino ad oggi ritenuta patologica in una fisiologica e transitoria fase (eventuale) della vita dell’impresa, attraverso la predisposizione di strumenti di prevenzione.
Si rilevano criticità, in particolar modo, in relazione agli strumenti in mano all’organo di controllo, quale primo soggetto coinvolto in questa lotta contro i sintomi della crisi di impresa, il quale è chiamato a rilevare tempestivamente i profili di squilibrio economico-finanziario dell’area caratteristica del business rispetto alla solvibilità delle obbligazioni.
Il compito attribuito all’organo di controllo dal CCII non semplice, soprattutto, in considerazione delle difficoltà di aggiornamento costante dei dati.
Pertanto, in un’ottica di compliance dell’impresa rispetto ai nobili propositi del Legislatore, potrebbe risultare essenziale:
- in primo luogo, incrementare l’attività di analisi del risk management, implementando l’attività di programmazione e controllo dell’impresa al fine di ottenere dati previsionali il più possibile aggiornati;
- in secondo luogo, nell’ottica di ridurre i rischi per l’organo di controllo di incorrere in profili di responsabilità, risulterà opportuno rendere più efficiente il flusso informativo dei dati ottenuti, in modo da consentire una vigilanza efficace e tempestiva rispetto all’emersione dei segnali di crisi.
Avv. Maria Francesca Licalsi